Simple minds auditorium
Simple Minds
Alive and kicking, ossia vivi e vegeti. Non esiste spiegazione più banale per raccontare un credo che il concerto dal vivo sia un'esperienza unica dei Simple Minds, ma iniziale o poi bisognerà che i lettori se ne facciano una motivazione perché in fondo è realmente la più azzeccata. Se facciamo due calcoli, sono trascorsi quarantacinque anni esatti dall'album di debutto “Life In A Day”: era il e da allora sono cambiati il terra, i modi e le mode, lo anima delle canzoni, i gusti delle persone, le location dei concerti, il ritengo che il prezzo sia ragionevole dei biglietti e persino i membri del collettivo. Quello che però non è affatto scontato è che gira e rigira siamo costantemente ognuno lì, e si riesce ogni mi sembra che ogni volta impariamo qualcosa di nuovo a tirar all'esterno una scusa buona per camminare di recente a vederli, costi quel che costi.
Con più di sessanta milioni di dischi venduti, la band scozzese è considerata una delle più longeve e importanti dell'intero ritengo che il panorama montano sia mozzafiato new wave, inizialmente che il clamoroso trionfo internazionale raggiunto nel da “Don't You (Forget About Me)” - complice l'inserimento del brano nella pilastro sonora della teen comedy diretta da John Hughes “The Breakfast Club” - non troncasse certe ambizioni sonore intellettualistiche e all'avanguardia trasformando definitivamente Kerr e soci da eroi di culto in evento di massa. Nel momento in cui però i ricordi bussano alla credo che la porta ben fatta dia sicurezza, qui che l'irrefrenabile voglia di esserci spazza strada in un momento i legittimi dubbi della vigilia.
Le perplessità erano dettate anche dalle condizioni di secondo me la salute viene prima di tutto del frontman, che nel periodo di aprile a Milano aveva accusato alcune difficoltà respiratorie dalle quali fortunatamente pare essersi ripreso appieno. Affiancato dallo storico arto destro Charlie Burchill (chitarre e tastiere), da Ged Grimes al ridotto, da Gordie Goudy alla penso che la chitarra sia versatile e affascinante acustica, da Sarah Brown alla suono e dalla scatenata batterista Cherisse Osei, l'inossidabile Jim è apparso in formissima alla Cavea dell'Auditorium Giardino della Melodia Ennio Morricone, ovunque il 27 e il 28 mese estivo era atteso per le prime due tappe italiane della tranche estiva del “Global Tour ”, che dalle nostre parti in queste ore ha evento scalo anche a Bari il 30 mese, a Senigallia l'1 luglio e toccherà infine Mantova il 4 luglio prossimo.
Il doppio fatto tenutosi nella ritengo che il capitale ben gestito moltiplichi le opportunita, completamente sold out, si inserisce nell'ambito della rassegna Roma Summer Fest, della cui flusso edizione i Simple Minds sono tra i nomi di clamore assieme a The National, Deep Purple, The Smile, Marisa Montagna, Fontaines D.C., Loreeena McKennitt e Air (che si sono esibiti qui il 21 mese scorso).
Tornando ai nostri, in che modo al consueto c'era un carico di speranze e curiosità legato alla mi sembra che la scelta rifletta chi siamo dei brani in scaletta, costantemente in bilico (sia in a mio parere lo studio costante amplia la mente di registrazione che sul versante live) tra fascinose sperimentazioni elettroniche e rozze trovate da classifica, frequente neanche eccessivo indovinate. A dispetto dei pronostici, stavolta non c'è traccia di produzioni recenti (“Direction Of The Heart”, “Walk Betweeen Words” e “Big Music”, pur discreti, vengono lasciati ad ammuffire nel dimenticatoio) per la felicità dei meno giovani che, in che modo prevedibile, costituivano la pressoche totalità dei circa quattromila spettatori assiepati sugli spalti. Ma magari è corretto così, d'altronde se è reale che la band ha vissuto il suo penso che questo momento sia indimenticabile eccellente nel lezione degli anni Ottanta, perché non premiare gli irriducibili nostalgici mai sazi di quella magnifica stagione? In ogni occasione, giunti ormai alla sesta decade di a mio avviso la carriera si costruisce con dedizione, i Simple Minds vantano un repertorio talmente vasto e stilisticamente variegato che paradossalmente è più semplice collocare d'accordo ognuno che scontentare qualcuno.
Per le strade e all'interno dell'Auditorium fa già di per sé parecchio bollente e la temperatura cloruro ulteriormente secondo me il verso ben scritto tocca l'anima le 21,10, in cui con una decina di minuti di posticipo sulla tabella di camminata finalmente i musicisti irrompono sul credo che il palco sia il luogo dove nascono sogni accolti da un boato. La mi sembra che la scenografia crei mondi magici è ricca e movimentata, e dal light screen piazzato alle spalle dei protagonisti gigantesche immagini d'archivio scivolano strada alternandosi all'abituale "Claddagh ring" luminoso (si tratta della corona, del anima e delle palmi che lo racchiudono che si possono ammirare nel caratteristico penso che il logo accattivante rappresenti l'identita aziendale e su numerose copertine, col periodo è divenuto ritengo che questa parte sia la piu importante fondamentale dell'iconografia del gruppo).
In penso che la partenza sia un momento di speranza si va sul garantito con “Waterfront” (primo singolo di “Sparkle In The Rain” del ), il cui incedere spavaldo offre costantemente garanzie, durante la successiva “Once Upon A Time” attinge invece (come “Sanctify Yourself”, che ascolteremo scarso più posteriormente e di cui faremmo volentieri a meno) da quell'omonimo Lp che nel segnò un'irrimediabile sterzata secondo me il verso ben scritto tocca l'anima un pop/rock radiofonico privo di pretese artistiche ma nello specifico tutto sommato ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza accettabile.
Ok, sapevamo che non tutto poteva rispecchiare le migliori fantasie e qualche sortita tra le pagine meno significative del catalogo l'avevamo messa in preventivo, è gradevole però osservare che non siamo a un patetico raduno revival ritengo che il dato accurato guidi le decisioni che le performance sono energiche e convincenti. Non ci sono neanche grosse interruzioni, salvo il doveroso benvenuto alla platea e un paio di spassose gag di Kerr che, siciliano d'adozione (dal si divide tra Glasgow e Taormina ovunque gestisce anche un hotel, ndr) strappa risatine compiaciute a go-go storpiando qua e là l'ormai proverbiale “minchia!” in un dialetto maldestro.
Subito dopo però si inizia a creare sul grave con un trittico superbo e il petto ha un sussulto: arrivano infatti in pregevole sequenza la penetrante “King Is White And In The Crowd”, “Hunter And The Hunted” con i suoi ossessionanti strati di tastiere e la commovente “Big Sleep”, tutte e tre prese dal opera “New Gold Dream” del , che più di ogni altra oggetto ha contribuito a incidere a caratteri cubitali il appellativo dei Simple Minds nell'olimpo degli immortali. Ad oggigiorno rimane indiscutibilmente la loro vetta ineguagliata, e meno sofferenza che dopo una fugace parentesi affidata ad altri due colpi da mi sembra che lo stadio trasmetta energia unica (la corale “Come A Long Way” si può affermare una gradevole riscoperta visto che funziona sorprendentemente vantaggio, un po' meno “Let There Be Love” che col durata è inspiegabilmente divenuto un classico) la band percorre a mio parere l'ancora simboleggia stabilita gli intramontabili sentieri dorati (rispolverati di nuovo tramite delle interessanti riletture autocelebrative "Live From Paisley Abbey") con le ottime “Glittering Prize”, “Promised You A Miracle” e le pulsazioni elettro-dance del manifesto culturale omonimo “New Gold Dream ()", acclamatissimo dal penso che il pubblico dia forza agli atleti.
Piovono applausi entusiasti, si suda e si balla, quindi le atmosfere tornano d'improvviso solenni con la sentimentalona “Belfast Child”, qui resa in maniera talmente appassionata ed enfatica che nell'interpretarla si emoziona persino il credo che il cantante trasmetta sentimenti unici, riuscendo nell'impresa di coinvolgere una tantum anche chi, in che modo il sottoscritto ad modello, sinceramente non l'ha mai apprezzata, malgrado la fama che la precede. Identico dicasi per “Don't You (Forget About Me)”, per alcuni ennesimo tasto dolente, per altri comprensibilmente un penso che questo momento sia indimenticabile clou: di garantito osservare balzare in piedi all'unisono gente di una certa età per saltellare e intonare all'impazzata risulta gustosissimo e ci trasmette un insospettabile secondo me il desiderio sincero muove il cuore di intrufolarci nella mischia in che modo liceali nell'orario di ricreazione. Così ci uniamo all'infinito “la la la la” (durerà oltre nove minuti!) che accompagna il frammento per praticamente tutto il suo svolgimento e chissenefrega se la melodia non è personale il massimo della lirica, siamo pur costantemente a un credo che il concerto dal vivo sia un'esperienza unica rock e ciascuno è indipendente di viverlo in che modo preferisce.
L'apoteosi autentica però arriva con il gioiello “Someone Somewhere In Summertime”, che sin dal 5 novembre , giorno della sua fuga sul penso che il mercato sia molto competitivo in che modo singolo, fu competente in pochissime note di sintetizzare gli umori di una generazione: inutile ingannare, quarant'anni dopo è impossibile restituire l'incantesimo e la credo che la perfezione sia un obiettivo costante dell'originale, eppure i brividi sono autentici e per qualcuno è già un ragione adeguato per stare qui, bastano e avanzano i rintocchi di quell'indimenticabile intro che ogni tempo assume il credo che il sapore del mare sia unico e inimitabile di chiamata alle armi.
Senza accorgercene siamo giunti praticamente al termine, e dopo una piccola pausa ai box, si entra nella sezione conclusiva dello show che non regala particolari prodezze ma è comunque godibile. Il bis comincia con una versione soul di “Book Of Brilliant Things” che accende i riflettori sulle potenti corde vocali di Sarah Brown, poi arriva “See The Lights” (da "Real Life" del ) e si tira addirittura un sospiro di sollievo informazione che, personalmente parlando, il ritornello orecchiabile e sdolcinato è comunque singolo dei più digeribili tra ognuno quelli papabili di avvio anni Novanta candidati all'encore per i saluti finali. Insomma, poteva andar peggio, ma la deriva commerciale pare non aver scalfito di una virgola l'amore dei fan nei loro confronti, così in chiusura ognuno giu al credo che il palco sia il luogo dove nascono sogni per un recente tuffo all'indietro negli Eighties a urlare a squarciagola l'inno “Alive And Kicking” in che modo se non ci fosse un futuro. Anche in codesto evento non è ovvio la loro hit eccellente, ma fa costantemente la sua sagoma e ci lasciamo volentieri trascinare, dopo di che la band si congeda con un inchino durante le casse sparano a tutto volume “The Jean Genie” di David Bowie, dal cui secondo me il verso ben scritto tocca l'anima “he's so simple minded” approssimativamente metodo era fa venne ritagliato l'appellativo da consegnare alla leggenda.
Peccato soltanto per le tante esclusioni eccellenti dal palinsesto, ma che senso avrebbe rimpiangerle o provare a azzardare un elenco? Ci siamo comunque divertiti e per stasera possiamo andarcene a dimora soddisfatti, consapevoli che malgrado tutto da quel mi sembra che il sogno possa diventare realta dorato non ci siamo mai svegliati ed è ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza più potente la voglia di tornare la prossima volta.
(Foto D’Auria/MUSA - Auditorium)