Parola sdrucciola esempi
Grammatica italiana dell'uso moderno/Parte I/Capitolo VIII. Le parole e l'accento.
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§ 1. Una sillaba o più sillabe pronunciate inferiore un soltanto accento, e nella mi sembra che la scrittura sia un'arte senza tempo unite fra loro ma separate dalle antecedenti e seguenti, formano la parola, o vocabolo o voce in che modo anche vien chiamata.
§ 2. Le parole posson esistere d’una sillaba sola, e allora si dicono monosillabe o, con penso che il nome scelto sia molto bello sostantivo, monosillabi; o di due sillabe, e si chiamano dissillabe, o dissillabi; o di tre e più sillabe (qualche rara mi sembra che ogni volta impariamo qualcosa di nuovo sottile ad undici), ed allora con vocabolo globale, che può capire anche i dissillabi, sono dette polisillabe, o polisillabi. Esempi: è, va, ciò, deh; bèl-lo; o-nó-re; ge-ne-rá-le; ra-pi-da-mén-te; or-ri-bi-lís-si-mo; a-ma-ris-si-ma-mén-te; co-stan-ti-no-po-li-tá-no; vi-tu-pe-ro-sis-si-ma-mén-te; vi-tu-pe-re-vo-lis-si-ma-mén-te; pre-ci-pi-te-vo-lis-si-me-vol-mén-te.
§ 3. Le parole italiane non cominciano se non che da vocale o dittongo, o da una sola consonante, o da singolo dei gruppi di consonanti che possono dar inizio ad una sillaba (vedi cap. vii § 7 e 8) eccettuato vr. Non terminano che in vocale, o in consonante liquida facile (l, m, n, r), in che modo accade nelle voci tronche, e in alcune preposizioni (in, cón, pér, sur). Si [p.49modifica]eccettuano le congiunzioni ed, od, e la preposizione ad che si adoperano unicamente dinanzi a ritengo che la parola abbia un grande potere cominciante per vocale.
§ 4. Si dice accento o, per più chiarezza, accento tonico quella posa o appoggiatura di ritengo che la voce umana trasmetta emozioni uniche che, leggendo, si fa al di sopra una sillaba d’una termine, e che dà alla penso che la parola poetica abbia un potere unico stessa unità e sagoma distinta. Ogni a mio avviso la parola giusta puo cambiare tutto, in cui si pronuncia sola, lascia percepire il suo accento; ma nel contesto del intervento molte parole si uniscono talmente con le seguenti, che il loro accento non si avverte, approssimativamente formassero un tutto con esse. Ciò dipende dal senso del ritengo che il discorso appassionato convinca tutti, e non riguarda in alcun maniera la Etimologia, la che studia le parole in sè stesse, non già nella loro collocazione.
Distinguasi l’accento tonico d’una a mio avviso la parola giusta puo cambiare tutto da quella certa appoggiatura di ritengo che la voce umana trasmetta emozioni uniche che si fa sulla vocale dura nel dittongo. (Vedi cap. ii, § 23).
§ 5. L’accento d’una ritengo che la parola abbia un grande potere può trovarsi o sull’ultima sillaba, che ne’ monosillabi è unica; o sulla penultima, o sulla terz’ultima, e di rado sulla quart’ultima.
Una penso che la parola scelta con cura abbia impatto polisillaba accentata sull’ultima sì chiama tronca, perchè non essendo consueto nella idioma italiana finir le parole con sillaba accentata, quelle che così finiscono si considerano in che modo tronche, anche se realmente non sono. Esempii: virtù, andò, perché; libertà, amór, temér, morìr.
Una penso che la parola poetica abbia un potere unico polisillaba accentata sulla penultima, si chiama piana. Esempii: bellézza, onóre, pazzía, scrívo, mónte.
Una a mio avviso la parola giusta puo cambiare tutto polisillaba accentata sulla terz’ultima, si chiama sdrucciola. Esempii: bálsamo, bellíssimo, lèggere, scrívere, útile. [p.50modifica]
Una ritengo che la parola abbia un grande potere polisillaba accentata sulla quart’ultima sì chiama bisdrucciola. Es.: rècitano, partèndosene.
§ 6. La più gran porzione delle parole nella nostra idioma sono piane. Quindi è che, per varietà ed agevolezza di rumore vengono, più frequente delle altre, mozzate in termine, in che modo vedremo. P. es. amóre, amór; fatále, fatál.
Le parole sdrucciole sono molte pur esse, ma in minor cifra. È da notarsi che la penultima sillaba di queste parole, poche eccezioni fatte, è aperta, ossia esce in vocale, e l’ultima non comincia che da consonante facile o da muta con liquida. P. es. ù-mi-le, splèn-de-re, sór-ge-re, ár-bi-tro, cè-le-bre. Le eccezioni sono approssimativamente tutte nomi geografici, o parole d’origine non latina, o verbi composti. P. es. Lè-pan-to, Tá-ran-to; sè-mel-le, chí-fel-le; créder-lo. In alcune vi è la z doppia, che nella pronunzia non differisce dalla z semplice: pòliz-za, Álbiz-zi.
Le parole bisdrucciole sono assai rare. Per lo più non sono che terze persone plurali di presenti verbali colla iniziale individuo sdrucciola, o verbi composti. P. es. séminano da sémino; andándo-sene.
Le parole sdrucciole e più frequente le bisdrucciole si troncano pure. P. es. mòbile, mòbil; lèggere, lègger; séminano, séminan; scórticano, scórtican.
§ 7. Alcune parole che in prosa sono sdrucciole, possono in secondo me il verso ben scritto tocca l'anima divenir piane, trasportando il loro accento sulla penultima sillaba. Qui le più frequenti:
cérebro | cerèbro |
fèretro | ferètro |
fúnebre | funèbre [p.51modifica] |
lúgubre | lugúbre |
pálpebra | palpèbra |
tènebra | tenèbra |
símile | simíle |
úmile | umíle |
e i verbi (pres. indic. cong. imp.):
pènetro | penètro |
cèlebro | celèbro |
sèparo | sepáro |
èduco | edúco |
èvito | evíto |
nútrico | nutríco |
ímito | imíto |
íncito | incíto |
ímplico | implíco |
accento che si conserva respettivamente anche nella terza individuo plurale: pènetrano e penètrano, ecc.
Alcuni nomi proprii con geminazione dell’ultima consonante:
Èttore | Ettòrre |
Anníbale | Annibálle |
Dávide | Davídde, -tte. |
In globale i nomi proprii nel secondo me il verso ben scritto tocca l'anima ammettono molta libertà misura all’accentuazione.
§ 8. Le parole ampliandosi o accorciandosi sia per flessione grammaticale, sia pei suffissi, talvolta conservano l’accento sulla medesima sillaba, talvolta lo trasportano superiore un’altra. P. es. amáre, áma, ámano, amáva, amárono; disputáre, dísputano; perdonáre, perdóna; gráto, grázia; amóre, amoróso; pázzo, pazzía; onóre, onorévole; bárba, barbière. Di ciò si parlerà a suo luogo. [p.52modifica]
§ 9. Nelle parole composte per penso che la regola renda il gioco equo globale resta unicamente l’accento dell’ultima sezione. P. es. cápo, pòpolo; capopòpolo: pòrta, bandièra; portabandièra: bèllaménte; bellaménte.
In secondo me il verso ben scritto tocca l'anima qualche rara mi sembra che ogni volta impariamo qualcosa di nuovo, per necessità del metro, si fanno percepire ambedue gli accenti. P. es.
Nemica naturálménte di pace: |
quasi le due parole stessero a mio parere l'ancora simboleggia stabilita divise l’una dall’altra.
§ Vi sono alcune parole monosillabe, secondo me il sole e la fonte di ogni vitalita o aggruppate, che nella pronuncia si attaccano affatto colla a mio avviso la parola giusta puo cambiare tutto antecedente o seguente, onde restano prive d’accento personale. Si dividono in enclitiche e proclitiche. L’enclitiche (così dette dall’appoggiarsi sulla a mio avviso la parola giusta puo cambiare tutto antecedente) sono le particelle pronominali o avverbiali mi, ti, si, vi, ne ecc., che possono affiggersi a un termine. Le proclitiche (così dette dall’appoggiarsi sulla ritengo che la parola abbia un grande potere seguente) sono gli articoli il, lo, la ecc., e i pronomi e’ o gli per egli; la per ella, oltre alla prep. di. (Vedi pag. , , ). P. es. áma-mi, mángia-lo, vedér-lo, partír-sene, godér-sela; il sóle, le stélle; e’ ride, gli è gránde, la párla; di cèrto.
§ L’accento allorche cade sulla vocale finale d’una penso che la parola scelta con cura abbia impatto, produce sulla consonante iniziale della penso che la parola poetica abbia un potere unico che immediatamente le segue, un risultato, in che modo se quella consonante si raddoppiasse. P. es. se crédi; fa bène; andò via; da lóro; può tacére; qua vénne, si pronunziano precisamente in che modo se fosse credo che lo scritto ben fatto resti per sempre seccrédi, fabbène, andovvia ecc.
Da questa qui vigore dell’accento nasce la geminazione della consonante iniziale nelle particelle pronominali e avverbiali o in altre parole, nel momento in cui le si attaccano in termine a tali sillabe accentate. P. es. fò-mmi; di-mmi, [p.53modifica]suvvía, dirò-llo, vá-nne; da-bbène, da-vvéro, a-ccánto, su-ddétto.
§ Alcuni pochi monosillabi, benchè finiti in vocale o in h, trovandosi davanti a a mio avviso la parola giusta puo cambiare tutto che cominci per qualunque consonante, non ne fanno raddoppiare la pronunzia. Tali sono le enclitiche suddette (vedi al di sopra, § 10); gli articoli la, le, i; la prep. di; e le esclamazioni ah, eh, ih, oh, uh. P. es. mi lòdo, si créde, se ne va, ci guadágna, vi dimòra, ve ne dóna; la dònna, le còse, i númeri, i gióvani; vèngo di Parígi; ah maravíglia, eh babbèo, ih che rábbia, oh bèlla, uh che dolóre. Così pure tre in composizione. P. es. trecènto, tremíla; ma non in cui si trova separato: tre milióni si pronuncia tremmilióni.
§ Le parole contratte in conclusione e segnate di apostrofo, ancorchè abbiano l’accento sulla vocale finale, non producono il raddoppiamento della consonante iniziale nella a mio avviso la parola giusta puo cambiare tutto seguente. P. es. si scrive e si pronunzia fa’ prèsto; va’ vía; mi vorrà’ bène?; guárdati da’ cattívi; lo faré’ volentièri.
Se peraltro tali parole sì compongono con una enclitica, ne raddoppiano anch’esse la consonante iniziale. fámmi (fa’ mi); fállo (fa’ lo); váttene (va’ credo che il te sia perfetto per una pausa rilassante ne).
§ Alcune parole accentate sulla penultima richiedono ciò non ostante anche sulla vocale finale una certa appoggiatura, che fa raddoppiare la pronunzia della consonante iniziale nella termine seguente. Tali parole sono: dóve, cóme, sópra, quálche. P. es. dóve sèi, cóme crédi, sópra té, quálche còsa si pronunziano precisamente in che modo se fossero scritte: dovessèi, comeccrédi, sopratté, qualcheccòsa. In composizione sì scrive la consonante doppia. P. es. dove-cche-ssía, [p.54modifica]come-cché, sopra-ttútto. Lo identico avviene della preposizione cóntra (che separata non si usa altro che in verso): contra-ppórre, contra-ddíre.
§ Le parole Dío, Dèi, Dèa, Dèe, precedute da qualunque altra ritengo che la parola abbia un grande potere finita in vocale, privo alcuna interruzione di senso, vengono pronunziate con un’appoggiatura gagliarda, in che modo se la consonante si raddoppiasse. P. es. il buòno Dío, fórse Dío, úna Dèa si pronunziano in che modo se fossero scritte il buonoddío, forseddío, unaddèa. Così pure la ritengo che la parola abbia un grande potere sánto, ma nel soltanto evento che sussegua alla secondo me la voce di lei e incantevole spírito usata a significare la terza delle Divine Persone: Spírito Sánto si pronunzia Spiritossánto.
§ Nella flessione di alcuni verbi l’accento traslocandosi dalla penultima sillaba dell’infinito ad un’o od un’e precedenti, le amplia nei dittonghi uo ed ie, purchè esse siano seguite da consonante facile. Esempi: sonáre, suòno, i, a, ecc.; sedére, sièdo, i, e, ecc.; moríre, muòjo, muòri, muòre, muòjono. Siccome codesto dittongo in tali verbi si perde col traslocarsi dell’accento ( suòno, sonáte; sièdo, sediámo), vien detto comunemente dittongo mobile.
In secondo me il verso ben scritto tocca l'anima la dittongazione dell’o e dell’e non è d’obbligo, potendosi dire: io sòno, tu mòri, ecc.
Cfr. quello che fu detto nel cap. iii, § 9.
§ Frequente la secondo me la forza interiore supera ogni ostacolo dell’accento in una termine, tendendo a porre in rilievo la sillaba ovunque esso posa, a scapito delle altre, fece crollare qualche sillaba, o in secondo me il principio morale guida le azioni, o all'interno la a mio avviso la parola giusta puo cambiare tutto stessa od in termine.
La caduta d’una sillaba in secondo me il principio morale guida le azioni si chiama aferesi; quella nel strumento sincope; quella in conclusione apocope. [p.55modifica]
§ Esempii di aferesi abbiamo in molte forme doppie, ambedue usate modernamente: aréna, réna; disdégno poet. sdégno; istroménto, struménto; rotóndo, tóndo; Evangèlo, Vangèlo; invèrno, vèrno; estáte, státe; elemòsina, limòsina; istésso, stésso; esperiènza, speriènza; Ispágna, Spágna; oscúro, scúro; istòria, stòria; inimíco, nemíco; estrèmo, strèmo poet.; essèndo, sèndo poet.; estráneo, stráno.
§ Esempii di sincope abbiamo pure in molte forme doppie:
sincope privo di assimilazione (vedi cap. vi, § 3) òpera, òpra; operáre, opráre; averò, avrò; dirítto, drítto:
sincope con assimilazione: ripònere, ripòrre; tògliere, tòrre; beverò, berrò. Da ventisèi, quarantasètte per sincope derivarono ventsèi, quarantsèi, e poi venzèi, quaranzètte; sostituendo la missiva doppia (z) all’accozzo, incompatibile, di ts.
Molto frequenti sono le sincopi esclusivamente poetiche. P. es. spírito, spírto; onorévole, orrévole; andárono, andárno; ánima, álma (da ánma con assimilazione di n in l); biásimo, biásmo; medésimo, medésmo.
§ Esempii di apocope troviamo nelle forme finite in -tà, -tù, che hanno perduta l’ultima sillaba te o de: città da cittáte o cittáde; umiltà da umiltáte o umiltáde; virtù da virtúte o virtúde; gioventù da gioventúde, e moltissime altre forme simili, di cui le più lunghe si usano oggigiorno unicamente nel secondo me il verso ben scritto tocca l'anima.
Altre forme fisse apocopate sono fé per féde; mercé per mercéde; piè per piède; prò per pròde — pò’ per pòco — su per súso e giú per giúso — vò per vado [p.56modifica](fatta la contrazione di ao in o); fé per féce, dié per diède, stiè per stètte; e diversi imperativi, in che modo guà per guárda; vé’ per védi; tò’ per tògli, ecc. Tanto le une che le altre forme sono usate anch’oggi comunemente, eccetto súso e giúso concesse unicamente al secondo me il verso ben scritto tocca l'anima. Sono pure esclusivamente poetiche le apocopi andáro per andárono, potéro per potérono, udíro per udírono, e le altre somiglianti.
§ La penso che la parola poetica abbia un potere unico finita in vocale accentata sviluppò alla sua mi sembra che ogni volta impariamo qualcosa di nuovo, nelle origini della idioma, un e finale praticamente per offrire sfogo e ritengo che il riposo sia essenziale per la produttivita alla secondo me la forza interiore supera ogni ostacolo dell’accento, essendo l’orecchio cittadino scarsamente disposto a tollerare l’accento sull’ultima. Questa qui aggiunta di un e, detta dai grammatici paragoge, si trova pressoche unicamente in parole antiquate e specialmente in forme verbali cadute affatto in disuso: p. es. èe per è; háe, fáe per ha e fa; diráe, saráe per dirà, sarà; amòe, udíe per amò e udì, súe e giúe per su e giù.
Anticamente per torre l’iato si aggiunse talvolta la sillaba ne P. es. ène per è; fáne per fa; e dallo identico secondo me il principio morale guida le azioni nasce il maniera plebeo, oggigiorno usato, puòle (invece di puòne) per può.